Le testimonianze dei nostri informatori costituiscono il metro di giudizio per valutare il radicamento nella Firenze contemporanea delle voci e dei modi indagati; al tempo stesso le dichiarazioni degli intervistati sono anche la fonte esclusiva delle nostre definizioni. Di questa prospettiva lessicografica “dalla parte del parlante” si è ritenuto opportuno render conto in modo evidente adottando una resa “in presa diretta” delle testimonianze raccolte. I contesti, dunque, devono essere letti tenendo conto della loro fondamentale caratteristica parlata, che forse si adatta con difficoltà alla pagina scritta, ma che ci è sembrato opportuno sforzarsi di restituire proprio per l’impostazione generale del lavoro.
Gli accorgimenti ortografici adottati per la riproduzione degli esempi d’uso proposti dagli informatori non vogliono riprodurre le caratteristiche “fonetiche” dell’oralità fiorentina, ma consentire un’agevole fruizione della varia fraseologia riscontrata; questa, in ogni caso, deve essere considerata manifestazione momentanea di una “norma individuale” che in quanto tale può prevedere anche esecuzioni diverse.
In particolare, nel quadro di un’oralità fiorentina caratterizzata in modo consistente da una complessa fenomenologia di eventi al confine di parola, si tratta, nella prospettiva suddetta, di non sovraccaricare il testo di segnalazioni (apostrofi in primis) che possano interferire con una consultazione degli esempi pensata non in chiave “fonetica”. In questo senso si è deciso di non rappresentare fenomeni che si presentano come sistematici nell’oralità fiorentina: raddoppiamento fonosintattico e presenza di fricative in luogo di occlusive (“gorgia”).
In generale, la prospettiva delle soluzioni adottate è quella di facilitare un’agevole fruizione dei contesti, con un’attenzione particolare, in quest’ottica, allo scioglimento di possibili ambiguità interpretative. Nel dettaglio, gli interventi hanno riguardato: uso dell’accento in chiave disambiguante; fenomenologia di confine di parola e uso dell’apostrofo; la resa di particolari fenomeni consonantici. Nella nostra prospettiva la punteggiatura ha cercato di attenersi alle modalità consuete della scrittura, tranne casi particolari (previsti nella sezione Punteggiatura e altre indicazioni di lettura).
Adozione
Con è / é , ò / ó distinguiamo – di regola soltanto in lemma – il diverso grado di apertura di queste vocali toniche. L’indicazione del grado di apertura nei contesti è sporadico, e legato a possibili incertezze nella lettura (lòcco, sòrdi; aimméno / arméno).
Si usa inoltre l'accento nei casi seguenti:
Si avverte inoltre che con vò’ e pò’ si indicano, rispettivamente, eventuali forme per ‘vuoi’ e ‘puoi’, parallelamente alla resa delle III pers. sing. nominate sopra vò e pò.
Non adozione
Non si usa l'accento:
La tendenza generale è quella di segnalare la caduta di segmenti.
Al fine di non creare eccessive difficoltà di lettura, non si rappresentano tuttavia i casi di rafforzamento consonantico in fonetica sintattica, salvo particolari esiti “lessicalizzati” (icché). D’altra parte, si hanno casi (es. a regola ‘evidentemente’) in cui non si hanno esclusivamente esiti interessati dal rafforzamento sintattico: nonostante la variazione si è adottata un’unica resa grafica.
Nella prospettiva in cui ci muoviamo l’uso dell’apostrofo è prima di tutto quello previsto dalla consuetudine scrittoria (anche “locale”) per segnalare cancellazione di segmenti (m’interessa, s’ammonticchia, s’è, ’sta; i’ [= il], e’ per rappresentare art. pl. e pron. sogg.). L’apostrofo manca nei casi di troncamento, dove non è previsto dall’ortografia italiana corrente (diventan, abbassar, far, parlar, son, v(u)ol).
Adozione
Si usa l'apostrofo nei casi seguenti:
Non adozione
Non si usa l'apostrofo nei casi seguenti:
Parziali limitazioni
Nel quadro di una generale segnalazione dei segmenti omessi (tu m’ha’ ’nfinocchiato = mi hai infinocchiato), si sono localmente adottate soluzioni particolari, che tendono a evitare l’accumulo di apostrofi in presenza di più segmenti cancellati all’interno dello stesso segmento. Si può così avere da un lato la semplice soppressione di uno dei due segni (’ndo, e non ’ndo’ = dove [propriamente: in dove]), dall’altro la reintroduzione fra parentesi per motivi disambiguanti della forma scomparsa: la (m)i’ moglie = la mia moglie (v. anche sotto, nei casi di mancata segnalazione dell’apostrofo)
Si osservino le seguenti soluzioni grafiche per le forme rafforzanti quante = quanto, quande = quando, belle (quante / quande lui; belle mangiato), e si confrontino invece le soluzioni quant’ e’, quand’ e’ per le situazioni in cui non si ha rafforzamento sintattico (quant’e’ costa, quand’e’ piange); analogamente si avrà l’alternanza che / ch’e’ in ragione della presenza o meno di esiti rafforzati (questo che qui / quelli ch’e’ c’hanno). Per non appesantire la lettura si mantiene però la grafia del tipo forse torna, forse tornano senza segnalare la presenza del pronome soggetto e’ , obbligatoria in fiorentino (fors’e’ torna, fors’e’ tornano).
Alcune decisioni tengono conto di una sorta di convenzione ortografica corrente, anche a costo di veder irrigidita una fenomenologia non uniforme. L’adozione del già ricordato icché, per esempio, risente di una tradizione di scritture “vernacolari” che sembrano confermare la sostanziale lessicalizzazione di questa bandiera di fiorentinità (con possibilità comunque di grado tenue dell’occlusiva). Sempre per un fatto di lessicalizzazione, eventualmente anche solo tendenziale, si adotta la scrittura avoglia (invece di ha’ voglia), d’uso come modo esclamativo.
Resa di particolari fenomeni consonantici
La spirantizzazione viene segnalata solo quando è condotta, per le dentali, fino a esiti pronunciati (mangiaho, pataha; m’ha daho = mi ha dato), salvo dileguo riportato come tale (legaa = legata).
La resa chesto chi = questo qui; alle cattro = alle quattro, vuol restituire lo specifico contesto di riduzione del dittongo ua, ue (e la “normale” resa continua della velare sorda).
L’eventuale presenza di n dopo monottonghi con uscita in -u viene resa accorpando la nasale alla forma che la precede (sun questo = su questo; un tun sei = tu non sei).
Si è deciso di segnalare l’eventuale presenza dei seguenti esiti (diversamente) anomali rispetto alla tradizione fiorentina:
sonorizzazione di s intervocalica e di z iniziale fuori dai luoghi lessicali consuetudinari: la caSa (mentre non si segnala la sonora in parole dove localmente è tradizionale, come in viso), lo Zucchero (mentre non si segnala la sonora ad esempio in zanzara);
affricazione di s dopo liquida o nasale: inzomma, perzona (la segnalazione avviene solo in corpo di parola, per evitare fraintendimenti nella lettura: dunque, sempre un sacco);
depalatalizzazione della consonante laterale (l’altri, de l’altri, a l’altri).
Viene segnalata con accento arcinconflesso, perché rilevante pragmaticamente, la eventuale realizzazione palatale della sibilante preconsonantica (tu se’ propio štupido!).
Punteggiatura e altre indicazioni di lettura In linea di massima, la punteggiatura è di tipo tradizionale. I due punti, quando introducono citazioni e discorsi diretti riportati, sono sempre seguiti dalla maiuscola. Ogni capoverso contiene testimonianze raccolte all’interno della stessa area d’indagine (S. Croce, S. Frediano, Rifredi). I contesti proposti da diversi intervistati nella stessa area di indagine sono separati da doppia barra obliqua (//), che quindi distingue testimonianze raccolte in momenti diversi, o con diversi interlocutori (tutti, comunque, di una medesima area). La barra semplice (/) segnala il cambio di turno, che può essere “effettivo” quando la situazione concreta dell’intervista preveda più di un interlocutore, o che può essere “ricostruito” in una situazione di discorso diretto riportato (“dice: Te icché tu ne pensi? / Ah, io un ci metto né sale e né pepe!”). Il simbolo " indica che il testo ha subito interventi di taglio suggeriti dalla ricordata ricerca di fruibilità (oltre che dalla necessità di segnalare localmente incomprensibilità del brano dell’intervista).